“ANALISI CREA PARALISI” (cit.) …ma solo in determinati contesti

La relazione di aiuto si contraddistingue per due approcci principali; quello verbale/cognitivo e quello corporeo/energetico. L’uno non esclude l’altro e molto spesso è utile e necessario che i due lavorino in sinergia per supportare nel migliore dei modi il cammino evolutivo della persona che ne fa richiesta, ma tra i due vi sono delle differenze che è importante conoscere.

Nelle prime, (tecniche di aiuto verbali e cognitive), l’esplorazione e chiarificazione della tematica portata dalla persona diventa strumento di individuazione di bisogni, definizione di obiettivi, ricerca di chiarezza riguardo sé stessi e gli altri, comprensione delle proprie dinamiche riferite alla relazione tra l’interno e l’esterno, dove il punto di partenza è spesso legato a ciò che succede intorno a noi per poi risalire verso il nucleo (Centro).

Nelle tecniche di aiuto ad indirizzo Energetico e Corporeo invece, il punto di partenza, o meglio di focalizzazione dell’attenzione, è proprio il “Centro” stesso, verso cui si tende, ad averne piena consapevolezza per poi, in un secondo momento, intuirne e/o comprenderne le dinamiche stesse; l’esplorazione razionale o il tentativo di dare logicità ai processi interiori, diventa in questi casi un ostacolo alla capacità innata del nostro sistema di trovare, integrare e/o rimuovere gli impedimenti che intralciano il percorso naturale verso l’omeostasi nei livelli fisico-emozionale-mentale ed energetico.

Ma cosa si intende per “Analisi crea Paralisi”, in riferimento alle tecniche energetiche?

Nelle tecniche energetiche terapeutiche a mediazione corporea, soprattutto le prime volte in cui le si approccia, si tende a voler capire cosa è successo e il perché.

Proprio per loro caratteristica intrinseca, l’utilizzo di queste tecniche, mira invece a portare la consapevolezza a ciò che succede a livello corporeo facendo esperienza diretta di ciò che molte volte non è  spiegabile a parole.

A volte le persone, alla fine di una sessione di respiro circolare, di massaggio vibrazionale, di una costellazione familiare, di un rilascio somato-emozionale e/o di altre tecniche energetico/corporee, vogliono o almeno cercano di capire e dare una spiegazione a ciò che è accaduto interrompendo di fatto il processo in corso. Questo è normale e non c’è nulla da rimproverare o giudicare. In fondo quanti di noi non vorrebbero capire-comprendere dopo aver vissuto una nuova esperienza?

 

Questa modalità però, che prevede l’utilizzo della mente cosciente, è in totale contrapposizione a ciò che invece mira a fare la tecnica utilizzata. In effetti, mezzo e scopo di queste tecniche, è abbassare il livello di controllo mentale per far sì che l’intero Sistema Integrato di Corpo-Mente-Spirito, dotato di intelligenza superiore a quella che possiamo mettere in atto attraverso la conoscenza acquisita da informazioni esterne, abbia tempo e modo di Sintetizzare (fare sintesi) ed Integrare l’esperienza vissuta per il suo/nostro massimo beneficio. Non è un caso che, alla fine della fase attiva, come quella ad esempio della respirazione circolare vera e propria, diamo così tanta importanza ad uno “spazio vuoto”, o di silenzio interiore, durante il quale è quanto mai opportuno rimanere in semplice ascolto di ciò che succede, senza chiamare in causa la mente vigile che tenderebbe immediatamente a valutare/interpretare il vissuto attraverso i filtri restrittivi della propria conoscenza già acquisita e quindi schiva dal rimanere aperta ad accogliere pienamente la nuova esperienza in semplice osservazione; d’altra parte si sa che tutto ciò che è nuovo, piace poco alla nostra mente, in quanto potrebbe far vacillare i punti saldi su cui essa si regge.

Questo non significa che è meglio evitare di esprimere il proprio sentire o la propria esperienza  dopo una sessione di una qualunque tecnica; anzi, l’espressione di come ci si sente e/o il tentativo di tradurre in parole l’esperienza intima vissuta, ci può essere di grande aiuto; la parola vibra ed è possibile, attraverso la condivisione, separare “il grano dalla pula”, ovvero  entrare in risonanza con quella che è la verità interiore e lasciar andare più facilmente ciò che invece arriva da quella parte di mente che probabilmente ha tentato di controllare o interpretare parte del processo in atto, cadendo molto spesso in fallo. Ciò che invece tende a bloccare questo processo  di sintesi ed integrazione, è l’analizzare e voler dare un senso alle sensazioni, percezioni, stati fisici ed emotivi vissuti durante il lavoro energetico.

Una cosa importante da ricordare, è che chi detiene la “verità” (personale) non è la mente (come spesso inconsapevolmente ci illudiamo sia) seppur con tutta la conoscenza che essa può aver acquisito da libri e seminari, ma è il corpo. Il corpo non mente mai ed è strumento di conoscenza esperita che inevitabilmente si trasmuta in consapevolezza impressa a livello cellulare ed infine in verità. Il fatto che la mente spesso si intrometta a dubitare su questo tipo di conoscenza e consapevolezza corporea, è uno dei più grandi limiti al completamento del processo terapeutico e/o omeostatico che porta alla piena e totale guarigione fisica, emozionale, psichica e spirituale.  Nella nostra visione infatti, non ci può essere piena Guarigione senza un passaggio di Consapevolezza; è attraverso la consapevolezza che possiamo prendere contatto con la fonte del disagio che proviamo ad uno o più livelli (fisico, emozionale, spirituale), per  scegliere poi consapevolmente di assumerci la responsabilità di cambiare un atteggiamento, un comportamento, una prospettiva che possa cambiare l’energia che ha creato e che mantiene quel disagio.

Questo tipo di consapevolezza è diversa dal “ah, ora so! ho capito una cosa nuova!” Parliamo qui della consapevolezza che si struttura come parte integrante di noi stessi; noi in quanto anime in cammino dotate di un corpo fisico, emozionale, mentale. Strutture queste, dalla più grossolana alla più sottile, che permettono a noi, in quanto anime, di evolvere attraverso l’esperienza terrena, che in sintesi, diventa esperienza spirituale. Ecco che la via della dualità si unifica e ci permette di conoscere interiormente che Spirito e Materia sono un’unica cosa e che le loro strade non sono separate se non agli occhi della nostra mente che è della dualità la massima manifestazione.

Permettere che sia la nostra Anima, attraverso il nostro sistema integrato, a percorrere la strada della guarigione attraverso l’esperienza vissuta senza che sia invece la mente a dubitare, contrastare, decidere cosa è meglio per noi, è il più grande dono di guarigione su tutti i livelli che possiamo fare a noi stessi. Far invece decidere alla mente cosa è meglio, significa lasciare il timone nelle mani di una sola parte di noi (mente che tra l’altro è la parte più limitante del nostro esperire pienamente vita).

Ritornare all’Integrità, significa riunire ciò che in noi è stato separato per molto tempo. Non significa escludere le parti che giudichiamo come limitanti e che non ci piacciono; ma significa piuttosto riconoscerle come parti di noi e metterle in Armonia con le altre; farle in un certo senso dialogare affinché ognuna possa esprimere le proprie potenzialità. È proprio grazie alle potenzialità di ogni parte, usate in sintonia col contesto emergente, che esse diventano, anziché fattore conflittuale, strumento posto a servizio di ciò che veramente siamo, ovvero Anime in Cammino.

Alberto

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